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Maria Lazzari

Una donna eroica morta per salvare gli ebrei
Ultimo aggiornamento: 04/03/2021

Maria Lazzari nacque a Padova il 24 agosto 1903.

Si sposò con Giulio Pinori, dal quale ebbe la figlia Giuliana.

Lavorava come segretaria nello studio dell’avvocato Umberto Merlin, antifascista ed ex deputato.

Maria Lazzari

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e l’occupazione nazista, la famiglia Lazzari, da sempre antifascista, partecipò attivamente alla lotta di liberazione, occupandosi della raccolta e dello smistamento di armi e rifornimenti per i partigiani, nonché del collegamento di militari sbandati ed ex-prigionieri alleati con le formazioni armate che andavano costituendosi.

La loro abitazione, situata all’interno del ghetto di Padova in via Marsala, divenne un luogo di ricovero per molti perseguitati razziali in attesa di poter trovare la salvezza espatriando in Svizzera o per via mare attraverso il porto di Chioggia. Ne è un esempio la vicenda dei componenti della famiglia Levi Minzi: Clotilde, di 78 anni, rimase in casa Lazzari per alcuni mesi, fino a che la figlia venne a prenderla da Ferrara per portarla con sé; anche il figlio di Clotilde, Marcello Levi Minzi, era nascosto in casa Lazzari, ma fu arrestato durante una retata nel febbraio 1944 e deportato ad Auschwitz, dove morì.

I sentimenti antifascisti della famiglia Lazzari erano ben noti alle autorità della Repubblica Sociale Italiana. Schedata dall’ufficio politico della Questura già alla fine del 1943, nella primavera del ’44 Maria fu arrestata e interrogata presso il comando delle SS di via Diaz. Rinchiusa a Padova nel carcere giudiziario dei Paolotti, ritornò in libertà dopo circa una settimana.

Il 16 settembre 1944 fu fermata con la sorella Parisina, perché un delatore aveva riferito alle autorità che offriva asilo a un ebreo. Trattenute e subito rilasciate, le due sorelle furono nuovamente arrestate pochi giorni dopo: Parisina fu inviata al lager di Bolzano, mentre Maria fu tradotta inizialmente nel penitenziario veneziano di Santa Maria Maggiore e poi a Trieste, nelle carceri del Coroneo.

Il 10 gennaio 1945 Maria fu deportata nel lager di Ravensbruck, 90 chilometri a nord di Berlino, dove rimase fino alla seconda metà di aprile. Durante questo viaggio Maria riuscì a gettare fuori dal carro bestiame, che la portava in Germania, una lettera indirizzata alla sorella Parisina, che fu recapitata alla famiglia grazie a uno sconosciuto che la raccolse e la spedì.

Quando le truppe sovietiche erano ormai vicine alla capitale tedesca, Maria, incolonnata con le altre detenute, dovette affrontare la terribile marcia verso Bergen-Belsen, ma si spense lungo il tragitto a causa degli stenti patiti. Nel dopoguerra le è stata riconosciuta la militanza alla memoria nella Brigata Garibaldi Franco Sabatucci, con il grado di capitano e dirigente del servizio di assistenza sanitaria.

A lei è intitolata una scuola, l’Istituto Tecnico Commerciale Statale di Dolo (Venezia).

Nel 2013 è stata inserita nel Giardino dei Giusti del Mondo di Padova; la città le ha dedicato anche una passeggiata.

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